23 Novembre 2024

Tumore ovarico, in Sicilia 500 casi l’anno

CATANIA – Ogni anno in Sicilia 500 nuovi casi di tumore ovarico, 3mila donne convivono con questa malattia, nell’80% dei casi diagnosticata in fase avanzata: ha fatto tappa oggi in Sicilia “Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!”, campagna della Fondazione AIOM insieme ad ACTO Onlus, LOTO Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra, e sponsorizzata in esclusiva da GSK, giunta alla II edizione con l’obiettivo di promuovere l’informazione sul tumore ovarico mettendo in luce le esigenze delle pazienti e mantenendo alta l’attenzione sulla diagnosi precoce, le innovazioni terapeutiche che stanno migliorando sopravvivenza e qualità di vita e l’importanza dell’aderenza alle terapie.  Informazione, diagnosi tardiva, familiarità, terapie, aderenza e qualità di vita sono stati i temi dell’evento online di oggi di Catania, dove ginecologi, oncologi e psiconcologi hanno risposto alle domande e ai dubbi delle pazienti grazie al sito www.manteniamociinformate.it

«La nostra azienda pone da sempre grande attenzione alle patologie oncologiche, alla prevenzione e alla diagnosi precoce, nella fattispecie al tumore dell’ovaio, una delle neoplasie femminili più aggressive – dichiara Salvatore Giuffrida, dir. gen. del Cannizzaro di Catania – persino in questo anno e mezzo di pandemia, nonostante la sovraesposizione mediatica, i nostri medici e tutti gli operatori sanitari si sono impegnati per assicurare l’assistenza e le attività diagnostiche e di cura. Secondo la componente del Consiglio Direttivo di Fondazione AIOM Lorena Incorvaia: “L’informazione è fondamentale, anche perché al momento la clinica non dispone di screening sensibili e specifici. E’ importante scoprirla in fase precoce”. 

Una volta diagnosticato la paziente viene presa in carico dalla struttura ospedaliera e sottoposta: “Si fanno esami e indagini strumentali per capire se e quanto è diffuso il tumore – spiega Paolo Scollo, dir. Divisione di Ostetricia e Ginecologia del Cannizzaro – se il tumore è operabile la paziente è ricoverata per la chirurgia “up front” che permetta una rimozione il più possibile estesa del tumore, perché quanto meno ne resta tanto maggiore sarà il margine di sopravvivenza. Dopo la donna viene dimessa. Nel frattempo, il team multidisciplinare si riunisce per discutere la strategia da seguire per le terapie mediche. Tutto ciò è possibile tenendo conto del referto istologico che definisce il tipo di tumore e il test genetico che identifica la presenza o meno della mutazione genica BRCA. Tutti questi passaggi possono essere realizzati grazie al team multidisciplinare”.

Oggi però lo scenario è in evoluzione e una delle novità più importanti di questi anni è la possibilità per tutte le pazienti di accedere alle terapie di mantenimento, che permettono di allontanare le ricadute dopo chemioterapia e che si sono dimostrate efficaci su questa neoplasia.

«Le terapie per il tumore dell’ovaio negli ultimi anni hanno presentato sviluppi favorevoli in termini di efficacia e rispetto alla qualità della vita delle pazienti – sottolinea Giuseppa Scandurra, dir. ff Oncologia Medica del Cannizzaro – uno dei progressi più importanti ha riguardato l’arrivo dei PARP inibitori, farmaci orali da utilizzare in fase di mantenimento dopo la chemioterapia a base di platino. Le terapie orali sono a parità di efficacia particolarmente adatte alle pazienti con carcinoma ovarico perché consentono un normale svolgimento della vita familiare, lavorativa e sociale. Questi farmaci hanno aumentato in modo significativo la possibilità di prolungare il tempo libero da progressione di malattia nelle donne con mutazione BRCA e finalmente adesso i PARP inibitori possono essere utilizzati anche nelle pazienti “senza” mutazione BRCA, il 75% del totale e che fino a poco fa avevano poche alternative terapeutiche. Il test genetico BRCA indica quali pazienti risponderanno meglio ai PARP inibitori, che in ogni caso sono efficaci indipendentemente dalla mutazione».  

Il test genetico, in caso di familiarità al tumore ovarico, è un’arma preventiva importante perché permette di sapere se una donna è portatrice o meno della mutazione del gene BRCA1 o del gene BRCA2 e, in caso di malattia, attraverso l’individuazione delle caratteristiche biologiche del tumore, permette di scegliere il percorso di cura più appropriato ed efficace.

“In seguito a positività del test – spiega Giuseppe Scibilia, dir. med. UO di Ginecologia e Ostetricia e Responsabile Chirurgia Mininvasiva Ginecologica del Cannizzaro – la donna viene inserita in un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale per i tumori eredo-familiari. Il tumore ovarico sieroso di alto grado riconosce una genesi nella mutazione genetica ed è molto insidioso tanto che qualunque tipo di attenzione non riesce a volte ad intercettare la malattia in stadio precoce, i controlli che la donna con mutazione deve attuare sono almeno annuali ma a seconda dell’età e dell’allarme possono essere ripetuti ogni 6 o 3 mesi. Le donne con BRCA1 manifestano il tumore ovarico almeno 3-4 anni prima rispetto alle donne con BRCA2. È fondamentale l’inquadramento globale della donna, della sua riproduttività e fertilità, pensando ad una possibile annessiectomia profilattica con il timing appropriato. Cruciale il sostegno psicologico e la gratuità degli esami che vanno assicurati alle donne all’interno di questo percorso”.


Nella fote: Paolo Scollo, Giuseppa Scandurra e Giuseppe Scibilia.